mercoledì 18 settembre 2019

SEI NELLE MIE MANI - Anteprima


Quando Kendra decise di avvicinare Aleksej con l’inganno, sapeva di correre un grosso rischio perché quell’uomo era troppo spietato per perdonare e troppo potente per non fargliela pagare a caro prezzo al primo errore. Sarebbe bastato un passo falso e avrebbe perso ogni possibilità di ottenere ciò che voleva.
Passano mesi da quell’incontro e all’improvviso tutto crolla a causa di un tradimento che mette in pericolo la vita di Kendra e porta a galla tutte le sue bugie e falsità.
La resa dei conti è arrivata e Aleksej è pronto a distruggerla.
Ma proprio quando la riavrà tra le sue mani, scoprirà che la donna non si ricorda più nulla del suo passato.
Un passato che nasconde segreti che lui ha bisogno di conoscere.
Si troverà così a dover scegliere se vendicarsi o tenere quella donna pericolosa al suo fianco, stretta tra le sue spire, finché non riacquisterà la memoria.

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Capitolo 1


«Danielle, vieni qui», mi ordinò Aleksej con i suoi soliti modi prepotenti e frettolosi, che tanto mi facevano saltare i nervi.
Quanto avrei voluto rispondergli di no, che non avrei fatto ciò che voleva lui, ma sapevo che se si voleva restare nel suo entourage, quelle parole erano proibite.
Sfoderai il mio sorriso migliore e mi avvicinai languidamente. Misurai ogni passo con studiata lentezza, continuando a sfidarlo fissandolo dritto negli occhi, pur sapendo quanto quel gesto incrinasse la sua pazienza già limitata.
Invece di rimanere in piedi davanti a lui, come desiderava, mi rilassai appoggiandomi alla sua imponente scrivania di mogano e lasciando vagare le mani sui documenti impilati dietro di me.
Sapevo di infastidirlo con la mia arroganza e mi piaceva. Godevo di quei piccoli attimi di supponenza, anche se ero consapevole dei rischi che correvo. Tuttavia non m’interessava ed ero sicura che fosse più facile avere la sua fiducia grazie a quei gesti di ribellione piuttosto che con quelli più accondiscendenti.
«Siediti sulle mie gambe», s’irritò.
Ubbidii trattenendo uno sbuffo.
In un attimo le sue mani si posarono sul mio corpo e le sue labbra premettero sul mio collo.
Odiavo la sua bocca, soprattutto dopo aver scoperto il piacere che poteva darmi, tanto che avevo iniziato a provare paura.
Paura di provare sensazioni sbagliate che mi confondevano e mi ammaliavano.
Avrei voluto scappare ma non potevo.
Quando avevo deciso di avvicinare quell’uomo, sapevo che avrei dovuto abbassarmi al suo livello e commettere delle imprudenze.
Avevo accettato il rischio.
Avrei fatto di tutto pur di arrivare a lui e a ciò che gli ruotava intorno, come quei diamanti che erano sparsi nella scatola di velluto blu, aperta sulla sua scrivania.
«Ti piacciono i diamanti?», mi domandò ad un certo punto, staccandosi da me.
«Perché me lo chiedi?», mi preoccupai per quell’insinuazione, mentre sentivo le sue mani risalire all’interno della mia gonna fino ad arrivare all’elastico del perizoma.
«Ho notato come li fissi da quando sei entrata nel mio studio. Sembri molto interessata», continuò imperterrito, nonostante la mia morsa intorno al suo polso mentre tentavo di allontanarlo da me.
«Infatti è così. Ogni donna desidera coprirsi di gioielli», gli risposi fingendo indifferenza, anche se non riuscii a trattenere un sussulto quando sentii il tessuto di pizzo del mio intimo strapparsi e segnarmi la pelle.
Era sempre così con Aleksej. Apparentemente sembrava concentrato su ciò che diceva, tanto da metterti in guardia, ma poi scoprivi che lui era già oltre e quando te ne accorgevi era tardi.
«Anche tu?», mi sussurrò all’orecchio, baciandomi il collo e iniziando a insinuarsi con le dita tra le mie cosce strette.
Ero così a disagio e incapace di ragionare che non capivo più se stavamo ancora parlando di diamanti o di altro.
«Certamente», riuscii a rispondere prima di rimanere catturata dalla sua bocca che premeva sulla mia con violenza e possessività.
«Allora perché non ti ho mai visto con indosso un gioiello?», proseguì Aleksej lasciandomi sempre sconvolta dalla sua freddezza con cui riusciva a non lasciarsi mai andare del tutto. Lo odiavo per questo.
«Cosa vuoi che ti dica? Nessun uomo si è mai degnato di regalarmene uno», mormorai acida, avvicinando la mano alla scatola di velluto blu scuro, ma, prima che potessi arrivare ai diamanti, Aleksej mi prese per il polso e mi riportò da lui.
«Quelli non sono per te», mi avvertì severo fulminandomi con il suo sguardo glaciale.
«Allora per chi sono?», domandai improvvisamente curiosa.
«Non sono affari tuoi», tagliò corto lui prendendomi per i fianchi e facendomi chinare sulla scrivania.
«Ti scopi anche qualcun’altra?», sbottai, cercando di divincolarmi. Non avrei permesso a nessuno di ostacolarmi o di impedirmi di arrivare dove volevo!
«Sei gelosa?», scoppiò a ridere.
«Non sono una donna che ama condividere. Dovresti saperlo.»
«Abbiamo scopato solo una volta e già pretendi l’esclusiva?»
Evitai di rispondergli quanto mi fosse costato essermi data a lui volontariamente e per quanto tempo mi fossero rimasti sui polsi i segni delle corde con cui mi aveva legata.
Avevo fatto più fatica a nascondere la paura di essere alla sua mercé piuttosto che la mancanza di eccitazione.
L’unica cosa che mi aveva dato la forza di non mandare tutto all’aria erano proprio quei diamanti e la fonte da cui arrivavano e a cui volevo accedere anch’io.
«Lavoro per te da otto mesi», gli ricordai.
«E con questo?»
«Finalmente mi lascio andare pensando di essere importante per te e invece scopro che hai un’altra», m’infervorai fingendo sdegno.
«Che cosa vuoi, Danielle?», mi domandò invece Aleksej non credendo alla mia scenata di gelosia. In effetti, la mia maschera di ghiaccio mi aveva sempre resa distaccata e insensibile a qualunque cosa e ora non ero credibile con quella sceneggiata da soap opera.
«Voglio te», sussurrai, inchiodandolo con il mio sguardo e posando la mia bocca sulla sua con irruenza. Fu un bacio di rabbia. Proprio ciò che provavo in quel momento… Rabbia per essere dovuta andare a letto con lui e per dover mentire ogni giorno, quando dentro di me avrei solo voluto accedere ai suoi fondi illimitati, appropriarmi dei suoi contatti e sparire nel nulla.
«Allora inginocchiati e prendimelo in bocca», mi sfidò, mentre le sue mani continuavano a toccarmi.
«Non sono la tua puttana!», ringhiai nervosa per non essere riuscita a scucirgli neanche mezza informazione e per quel suo modo che aveva di toccarmi e di eccitarmi contro il mio volere.
«Cosa c’è, Danielle? Non sei più disponibile perché questa volta non devi distrarmi dall’esserti fatta beccare a mettere il naso dove non dovevi?», mi sibilò all’orecchio prendendomi per i capelli per tirarmi su il viso per avvicinarlo al suo.
Mi morsi il labbro inferiore dall’ansia e dal nervoso.
Sì, lui mi aveva scoperto proprio mentre ero ad un passo dal capire chi era il suo contatto. Ricordavo benissimo quell’episodio di tre giorni prima, proprio in quello stesso studio.
Avevo capito di essere ad un passo dal far saltare la mia copertura, avevo letto la diffidenza di Aleksej nei suoi occhi e avevo capito di aver commesso un errore imperdonabile.
L’unica mia soluzione per non essere cacciata e perdere tutto quello che avevo fatto per arrivare fin lì, era stata quella di baciarlo e di fargli ottenere ciò che bramava dalla prima volta che ci eravamo incontrati.
Mi ero fatta scopare proprio contro quella libreria a tre metri di distanza.
Mi aveva voluto persino legare ad un certo punto ed appendere a un gancio che sporgeva dalla libreria.
Sapevo che l’aveva fatto per mettermi alla prova e l’avevo lasciato fare.
Ero riuscita a non muovere un muscolo nonostante il terrore che avevo sentito scorrermi nel sangue come un veleno letale.
Mi ero lasciata prendere alle sue condizioni e senza replicare per i suoi modi rudi e selvaggi.
E ora sentivo che mi avrebbe fatto la stessa cosa.
Avrei voluto negarmi. Sapevo che l’avrebbe accettato perché in fondo era un gentiluomo, ma la sua insinuazione mi pesava addosso come una spada di Damocle e così lo lasciai fare.
«Aleksej, mi deludi. Non sai distinguere una donna che ti vuole scopare da una che ti vuole fregare», lo provocai sapendo di avere appena firmato la mia condanna.
«Tu hai bisogno di una bella lezione», mi sussurrò roco facendomi piegare in avanti contro la scrivania.
Mi tenne ferma con la mano ancora tra i miei capelli, mentre con l’altra mi alzava la gonna, si abbassava i pantaloni e infine mi strappava definitivamente l’intimo di dosso.
Mi fece allargare le gambe e, prima di riuscire a tirarmi su, lo sentii penetrarmi con un’unica e poderosa spinta, riempiendomi più di quanto potessi immaginare.
Urlai per lo sgomento.
Cercai di ribellarmi, ma più opponevo resistenza e più il suo membro mi penetrava con furia e in profondità.
«Adoro il modo in cui ti fai sempre trovare così bagnata, pronta ad accogliermi», mormorò con tono grave, mentre aumentava la rapidità con cui spingeva dentro di me.
Odiavo le sue parole perché sapevo che erano vere. Nessuno mi aveva mai scopato in quel modo e, anche se lo disprezzavo e mi faceva sentire sottomessa e inferiore a lui, in fondo mi piaceva e mi eccitava più di quanto fossi disposta ad ammettere.
Improvvisamente sentii le sue mani allungarsi sui miei fianchi fino ad arrivare al mio seno che fuoriusciva dalla scollatura.
Non riuscivo a vederlo, ma percepii le sue dita pizzicarmi i capezzoli e torturarli fino a renderli turgidi e gonfi, provocandomi un piacevole fastidio ogni volta che strofinavano sul legno del tavolo ad ogni spinta.
«Aleksej», sussurrai in preda al desiderio sempre più incontrollabile, mentre lui tornava sui miei fianchi e s’insinuava tra le mie cosce fino ad arrivare al mio clitoride, a cui riservò lo stesso trattamento dei miei capezzoli.
Bastarono pochi secondi e il mio corpo si contrasse a causa dell’orgasmo che mi colpì con la violenza di un tornado.
«Basta, ti prego», lo supplicai sentendo tutto il mio corpo in preda alle contrazioni intorno al suo pene che continuava a farsi spazio dentro di me e le sue mani che non smettevano di provocarmi.
«Decido io quando smettere», mi avvertì duro e irremovibile. «Voglio farti venire di nuovo.»
«Non posso», boccheggiai esausta, mentre il mio corpo si stava lasciando nuovamente sedurre dal tocco di Aleksej.
Ad un certo punto lo sentii venire dentro di me.
Sospirai di sollievo, pensando che quella tortura fosse finita e invece mi ritrovai ancora piegata in avanti, con una mano di Aleksej sul mio seno e l’altra sempre sul mio clitoride.
Eccitata dal suo orgasmo che pulsava ancora dentro di me e dalle sue dita che scivolavano tra le mie cosce, alla fine sentii un nuovo orgasmo sconquassarmi in profondità.
«Brava la mia babushka», sorrise lui liberandomi dal suo corpo.
Mi rivestii in fretta, tentando di cancellare dalla memoria ciò che avevamo appena fatto.
Il perizoma era irrecuperabile, così lo buttai.
Intanto Aleksej aprì un cassetto della scrivania ed estrasse una scatolina.
Me la porse.
«Cos’è?», chiesi afferrando la confezione e sedendomi sulle sue gambe.
«Aprila.»
Ubbidii e dentro vi trovai un anello in oro bianco e diamanti. La pietra centrale a taglio brillante era incorniciata tra due diamanti con taglio a goccia. Era un anello spettacolare. Il più bello che avessi mai visto in vita mia.
«Che cosa significa?»
«Decidilo tu.»
«Non sono una puttana», chiarii infilandomi l’anello all’anulare destro con avidità.
«Non ho mica detto che questo è il pagamento della tua prestazione.»
«No, ma l’hai pensato.»
«Io penso ciò che voglio e tu puoi fare altrettanto in questo caso.»
«Allora prenderò questo anello come una proposta», lo sfidai, decisa a rendergli la vita un inferno, come quella che avevo passato io in quei mesi al suo fianco.
«Una proposta?! Di cosa?», s’incupì Aleksej all’improvviso.
«Di matrimonio», esclamai incapace di credere alle mie stesse parole. Come avevo fatto a pensare a una cosa simile? Stavo impazzendo o la vicinanza di quell’uomo mi stava facendo desiderare cose che non avevo mai voluto in tutta la mia vita?
«Che cosa?!»
«Sì, lo voglio, Aleksej. Ti sposerò», continuai assaporando appieno il disappunto comparso sul suo viso, prima di scoppiare a ridere.
Per tutta risposta, mi cacciò via. «Vattene. Ho da fare.»
«Anch’io. Ho delle nozze da preparare», ridacchiai.
Aleksej brontolò qualcosa in russo che riuscii a fatica a interpretare. Aveva appena detto che mi avrebbe sposato solo da morto.
«Aleksej, tesoro, lo sai che non capisco il russo. Parla la mia lingua, per favore.»
«Ho detto di andartene. Sto aspettando una persona e voglio rimanere da solo con lui. Dobbiamo discutere di affari.»
Il suo tono serio e il suo sguardo determinato mi fecero subito intuire che l’ospite che stava aspettando era molto importante.
Avevo davvero bisogno di sapere chi fosse, così decisi di temporeggiare e cercai di baciarlo per prendere tempo, ma lui mi allontanò di nuovo.
«Non costringermi a usare le cattive maniere, Danielle.»
«Ok, hai vinto», sospirai arresa. Quando arrivai alla porta, sentii solo Aleksej rispondere al telefono e dire alle guardie di far entrare l’ospite. Parlò in russo, ma io compresi perfettamente ogni parola e sapevo che, se volevo beccare quella persona, avrei dovuto trovare una scusa per scendere nel salone di sotto, passando dal corridoio e dalla scalinata principali.
Lentamente mi avviai verso la porta e uscii.
Invece di tornare verso la stanza che mi era stata assegnata, proseguii lungo il corridoio centrale che si apriva su una scala imponente che si biforcava simmetricamente in due direzioni opposte, entrambe verso il salone al piano terra.
Con estrema soddisfazione, vidi salire proprio l’ospite di Aleksej.
Portava gli occhiali da sole che gli oscuravano il volto, ma c’era qualcosa di familiare in lui.
Temporeggiai ulteriormente, aspettandolo in cima alle scale per passargli accanto.
Lui mi inviò un’occhiata veloce che non mi sfuggì, ma proseguì facendo finta di niente.
Avrei voluto avvicinarlo e parlargli, ma sapevo che il mio atteggiamento sarebbe stato troppo sospetto e non potevo giocarmi quell’occasione proprio con l’uomo con cui Aleksej contrabbandava diamanti o li scambiava con altro.
Era da otto mesi che aspettavo quel momento.
Ero addirittura arrivata ad andare a letto con quel russo solo per entrare nella sua dimora privata, dove sapevo che avvenivano gli incontri più interessanti e proficui.
E ora era arrivata la mia occasione!
L’uomo mi passò accanto e io finsi indifferenza, ma proprio quando stavo per scendere le scale, inalai il suo dopobarba.
Era un profumo molto particolare e costoso.
Conoscevo solo un uomo che lo usava.
Un uomo con cui avevo avuto una relazione durata per quasi un anno, ma fatta solo di sporadici e rapidi incontri sessuali e brevi chiacchierate, quasi sempre incentrate sul lavoro o sui nostri sogni di gloria.
Era passato quasi un anno dall’ultima volta che lo avevo visto, ma ora, in un attimo, la mia mente delineò il profilo del mio ex.
Capelli biondi, occhi azzurri, mascella squadrata, naso aquilino, altezza e peso medio…
«Ryan!» Soffocai un sussulto.
Di colpo mi voltai sconvolta.
Anche lui si era voltato verso di me e si era tolto gli occhiali.
Aveva i capelli più lunghi e la barba incolta, ma era proprio lui.
Com’era possibile?
Ripensai a quell’anno insieme e ai problemi che avevo avuto…
Rammentai tutte le volte che gli avevo confidato i miei sospetti sul fatto che qualcuno vicino a me mi stesse fregando.
«Come hai potuto farmi questo?», compresi all’istante. Era lui la persona che aveva intralciato i miei progetti fin dall’inizio.
Solo in quel momento capii quanto mi avesse usato e come avesse cercato di compromettere i miei piani.
D’istinto cercai la mia Beretta nascosta nella tasca della gonna, ma troppo tardi mi resi conto di averla lasciata in camera, quando Aleksej mi aveva fatto chiamare.
Ryan fece lo stesso e di colpo mi trovai la canna della sua pistola puntata contro.
«Kendra, non prenderla sul personale, ma qui solo uno di noi due può uscirne vivo.»
«Non deve finire così per forza», cercai di convincerlo, iniziando a scendere le scale lentamente, senza voltare le spalle a Ryan.
Ormai era chiaro che mi avrebbe presto tradito con Aleksej e a quel punto per me non ci sarebbe stata via di scampo. Dovevo uscire da quella villa e in fretta!
Inoltre, la rabbia per l’umiliazione subita mi fece solo desiderare di prendere il cellulare nella tasca e chiamare subito i miei contatti per avvertirli di non fidarsi di Ryan.
«Che diavolo sta succedendo?», tuonò la voce di Aleksej attirando l’attenzione di Ryan.
Avevo troppa esperienza per non capire di essermi bruciata, così feci l’unica cosa che mi fosse ancora possibile fare. Presi il cellulare e scrissi velocemente un messaggio, spiegando l’accaduto.
«Metti via quel telefono!», mi urlò Ryan fuori di sé, appena se ne accorse, bloccandomi poco prima dell’invio del messaggio.
Vidi Aleksej fermare Ryan con un gesto della mano e venire verso di me.
Il suo sguardo sembrava una sottile lastra di ghiaccio nero che presto si sarebbe spezzata, esplodendo in mille schegge pronte a colpire chiunque gli fosse vicino.
Dopo otto mesi a stretto contatto, lo conoscevo abbastanza da sapere che non avrebbe esitato a farmi pagare ogni singolo secondo al suo fianco, sfruttato solo per i miei scopi personali.
Il perdono era l’unica cosa che non mi avrebbe mai concesso.
Su questo non avevo dubbi.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per distruggermi. Ma solo dopo avermi fatto confessare fino a che punto fossi arrivata per fare lo stesso con lui in quei mesi.
«Dammi il cellulare», sibilò a voce bassa a un passo da me, allungando la mano.
Diedi una rapida occhiata al display, rimpiangendo i vecchi telefonini in cui si usavano i tasti, facili da riconoscere con il solo tatto, invece della vista.
Dovevo solo arrivare al tasto Invio con il pollice.
Stavo per premerlo, quando vidi la mano rapida di Aleksej arrivare a me.
Feci appena in tempo a spostare il braccio per evitarlo, ma contemporaneamente un colpo di pistola riecheggiò in tutta la villa.
Non mi accorsi nemmeno del proiettile diretto verso di me, finché un forte dolore al petto mi tagliò il respiro e mi spinse all’indietro, facendomi perdere l’equilibrio.
I tacchi delle scarpe persero il loro appoggio e, prima di potermi aggrappare al braccio di Aleksej, teso verso di me, caddi nel vuoto.
Avvertii a malapena il tocco delle dita di Aleksej prima di iniziare la discesa verso la mia fine.
L’ultima cosa che ricordai fu il suo nome che pronunciai debolmente come una disperata e assurda richiesta di aiuto e poi… il dolore.
Solo il dolore ebbe il potere di farmi sentire ancora viva, nonostante la pallottola conficcata a pochi centimetri dallo sterno e i ripetuti colpi sui gradini della scalinata, su cui rotolai violentemente fino in fondo.
E infine, ci fu solo il buio.


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