CHAPTER 1
ALICE
Mi sentivo in colpa.
Aver lasciato mio padre e Book da soli a
Seattle mi pesava sul petto come un macigno.
Mi sentivo una traditrice, una venduta,
un’opportunista, una che aveva preferito la carriera universitaria alla
famiglia.
Nemmeno le parole di mio padre erano
riuscite a farmi stare meglio.
«Alice, ciò che ti stanno offrendo è ciò
che desideri da una vita e che ti meriti. Non pensare neanche per un attimo
all’idea di lasciar perdere per me. Se lo farai, poi sarò io a sentirmi in
colpa per averti frenato, mettendo a repentaglio tutto il tuo futuro.»
Lo sapevo che aveva ragione ma non
riuscivo a essere positiva.
Io e lui eravamo un tutt’uno da quando mia
madre aveva accettato di trasferirsi a Eugene, in Oregon, per ottenere la
promozione che tanto desiderava.
Mi ero rifiutata di seguirla perché ero
troppo attaccata a mio padre, al nostro cane, ai miei amici e al mio liceo, ma
ormai le cose erano cambiate.
Mi ero diplomata, i miei amici erano
partiti per frequentare le varie università sparse per il Paese, mio padre
lavorava tutto il giorno e Book aveva iniziato a bazzicare attorno alla
villetta dei vicini da quando avevano adottato una cagnolina.
I soldi per i miei studi si erano dissolti
a causa dei problemi della casa che cadeva a pezzi e mia madre aveva troppe
spese per aiutarci, anche se sia io che mio padre eravamo troppo orgogliosi per
chiederle un sostegno economico.
Ero cresciuta con il peso delle
responsabilità da quando mia madre si era trasferita e si era poi lasciata con
mio padre.
Mi ero fatta carico di tutte quelle cose
di cui prima si occupava lei e mi ero sempre sentita una colonna portante per
mio padre.
Ora non sapevo cosa fare e continuavo a
chiedermi se avessi fatto la scelta giusta ad abbandonarlo al suo destino e
partire per l’Oregon a frequentare l’università e soggiornare temporaneamente
da mia madre e il suo nuovo compagno, Mitchell Carson. Quest’ultimo era anche
il fratello del rettore dell’università, a cui avrei potuto accedere grazie
alla sua raccomandazione e al suo aiuto economico.
A quanto pareva mia madre si era
innamorata di un uomo molto ricco. Così ricco da non aver battuto ciglio
all’idea di pagarmi gli studi anche se non mi conosceva, e così innamorato da
fare qualsiasi cosa per realizzare il sogno della sua fidanzata di riavere
accanto la figlia.
Avevo sempre desiderato andare
all’università, laurearmi in giornalismo, ma il prezzo da pagare era alto se
pensavo a mio padre e al fatto di averlo lasciato per preferire colei che ci
aveva abbandonati per andare a fare fotografie in giro per il mondo come
fotoreporter per una rivista.
L’unica cosa che mi aveva convinto a
salire sul pullman e farmi quel viaggio lungo più di sei ore era stata quella
di rendere orgoglioso mio padre e sfruttare al massimo quell’opportunità
davvero unica.
Scoppiai in un’amara risata quando scesi
dall’autobus e mia madre m’inviò un messaggio in cui mi comunicava che era
stata trattenuta per un servizio fotografico e non sarebbe potuta venire a
prendermi.
Mi
sarei stupita del contrario… Non cambierai mai, vero? È sempre stato troppo
difficile per te trovare posto per tua figlia.
Senza perdermi d’animo, presi un taxi e
m’instradai all’indirizzo che mi aveva inviato. Ci sarebbe stato qualcun altro
ad aprirmi la porta e a farmi accomodare.
Quando la macchina si fermò davanti a una
grande villa immersa nel verde, rimasi meravigliata da tanta ricchezza.
Con mia sorpresa, il cancello di ferro era
aperto, il viale alberato era pieno di macchine parcheggiate e dalla casa
provenivano schiamazzi e musica a volume altissimo.
Frastornata e stremata dal viaggio, scesi
dal taxi e mi avviai verso la villa.
Con titubanza mi avvicinai a quella
struttura cubica, color terra, che si confondeva con l’ambiente naturale
circostante. Era una villa futuristica, divisa in cubi sfalsati che
raccoglievano le varie stanze. Alla base c’erano due grossi cubi di cui uno con
un intero lato di vetro, mentre al piano di sopra c’erano almeno sei stanze più
piccole, sempre divise in cubi che creavano un gioco affascinante di rientranze
e sporgenze. Anche quelle avevano grosse vetrate che si affacciavano sui
giardini circostanti.
Mi accorsi subito di un viavai continuo di
ragazzi che si divertivano e correvano da ogni parte. Alcuni erano impegnati a
bere birra, altri, in costume da bagno, ad asciugarsi…
Anche se eravamo già a settembre, il clima
era ancora molto caldo e anch’io ero vestita con solo un paio di leggings e un
top leggero.
Disorientata e incapace di trovare
qualcuno in grado di aiutarmi, trascinai il mio trolley per tutta la villa,
passando per ben due saloni e finendo sul retro della casa, che si apriva sulla
zona barbecue e la piscina.
Lì trovai il fulcro di quella che doveva
essere una festa.
La piscina era piena di gente della mia
età e la musica era ancora più assordante.
Mi guardai intorno.
Sapevo che il compagno di mia madre aveva
dei figli, Easton e Jake, di cui uno mio coetaneo, ma non sapevo nemmeno chi
fossero. Non avevo mai visto nemmeno una loro foto e mia madre mi aveva detto
che non vivevano fissi a casa del padre.
Stordita da quel casino, stremata e
accaldata dal viaggio, posai la mia valigia contro il muro e provai ad
addentrarmi in quel delirio con l’intento di chiedere aiuto a qualcuno.
Non ero mai stata brava a rompere il
ghiaccio o ad attaccare bottone con gli sconosciuti, ma mi feci coraggio.
Stavo per avvicinarmi a una ragazza in
bikini che beveva una Pepsi, quando vidi venire verso di me un ragazzo appena
uscito dall’acqua.
Mi voltai e notai i suoi occhi color
azzurro ghiaccio fissi su di me.
Con la speranza di avere davanti a me
proprio uno dei figli del compagno di mia madre, mi allontanai dalla ragazza e
mi avviai verso di lui.
Lasciai scivolare lo sguardo su quel
ragazzo. Era alto almeno venti centimetri più di me e il suo corpo era snello e
scolpito, coperto solo da un paio di bermuda blu. Rimasi affascinata dalla sua
pelle abbronzata, così diversa dalla mia bianca come il latte, ma soprattutto
dal tatuaggio che gli scorreva su tutto il braccio destro fino alla spalla. Era
una riproduzione della litografia “Relatività” di Escher, un susseguirsi di
scale in varie direzioni ma che insieme davano un senso di irrealtà e di
paradosso. Nel tatuaggio, però, non comparivano persone ma solo draghi che
sorvolavano quello scenario, fino ad arrivare alla spalla su cui era abbarbicato
un drago ancora più grande, con gli artigli così lunghi e affilati da penetrare
la carne, reso ancora più realistico dalle ferite sanguinanti, tatuate sulla
pelle alla base delle zampe dell’animale.
Cosa
spinge una persona a tatuarsi ferite e paradossi sulla pelle?
Con un lieve senso di inquietudine per
quell’immagine, mi concentrai sul viso dalla mascella squadrata, gli zigomi
alti, il naso dritto e la bocca carnosa e incurvata in un sorriso enigmatico e
strafottente, unito a quell’espressione di superbia che gli si stava dipingendo
sul volto.
Ogni cellula del mio corpo mi urlava che
quel ragazzo era portatore di guai.
Solo quando fu a un passo da me, notai le
gocce d’acqua che continuavano a scivolare sui suoi capelli ondulati e castani
per poi rigargli il viso e continuare la loro discesa sui pettorali perfetti e
sull’addome piatto.
C’era qualcosa in quel ragazzo che mi
metteva in soggezione. O forse era solo la stanchezza per via del viaggio.
Non ero il tipo da farsi mettere i piedi
in testa ma rimaneva il fatto che non riuscii a dire una sola parola.
Rimasi ad aspettare di sentire il suono
della sua voce, mentre la distanza tra noi venne risucchiata completamente
dalla sua presenza.
Lo vidi chinarsi su di me.
I nostri sguardi rimasero incatenati e per
un attimo mi sembrò di non avere più via d’uscita.
Avrei voluto reagire ma ero così stanca e
alla fine mi arresi a quella vicinanza che mi faceva sentire vulnerabile e a
disagio.
«Tu devi essere Alice Preston», mi
sussurrò vicino. A malapena riuscii a sentirlo a causa del volume alto della
musica, tanto che fui costretta ad avvicinarmi ancora di più a lui.
Con sollievo compresi che quello doveva
proprio essere uno dei figli del compagno di mia madre.
Abbozzai un sorriso e annuii grata per
aver incontrato qualcuno in grado di aiutarmi.
Fu un attimo e qualcosa cambiò.
La sua mano destra si posò fulminea sul
mio viso, mentre il suo braccio sinistro mi circondò la vita, spingendomi
contro di lui.
Non ebbi i riflessi pronti per tirarmi
indietro, ma solo per mettere le mani avanti, scontrandomi con il suo petto
bagnato e fresco.
Rabbrividii per quello sbalzo di
temperatura da calda a fredda.
Cercai di comprendere cosa stesse
accadendo, ma la sua mano mi obbligava a tenere il viso verso il suo, con gli
occhi fissi nei suoi e i nostri respiri fusi insieme.
Indietreggiai, ma il mio gesto intensificò
la presa sul mio corpo, la sua mano sinistra aperta sulla mia schiena. Sentivo
il suo corpo umido bagnarmi i vestiti dove mi stava toccando. Quella frescura
mi diede sollievo dato che avevo caldo, ma quel contatto fisico inaspettato mi
spaventò, portandomi a cercare spazio e ossigeno.
«Che diavolo…?», mormorai intimorita,
cercando di capire cosa stesse succedendo, ma le parole si persero sulle sue
labbra improvvisamente incollate alle mie.
Quel ragazzo mi stava baciando!
Provai a spingerlo via ma era come
spostare un muro e di colpo mi ritrovai con la schiena contro la parete e la
sua mano che scivolava verso il mio sedere.
Arrabbiata e destabilizzata per ciò che mi
stava accadendo, gli bloccai la mano e lui, per tutta risposta, aderì con il
suo corpo ancora di più al mio, mentre con la bocca mi costringeva a schiudere
le labbra e a rispondere al suo bacio.
La cosa che mi lasciò più sconvolta fu che
per tutto il tempo continuò a fissarmi come se volesse controllare le mie
reazioni e capire quanto ci avrei messo a cedere.
Nonostante la stanchezza, non gliela diedi
vinta e rimasi rigida sotto il suo assalto.
Non seppi per quanto tempo rimanemmo
abbracciati a baciarci.
Quando quel ragazzo si staccò da me, mi
ritrovai barcollante e con le gambe tremanti.
Ciò che mi tenne in piedi fu proprio il
suo braccio che ora mi circondava le spalle, mentre era rivolto verso i suoi
ospiti che ci osservavano curiosi e divertiti.
«Amici miei, vi presento Alice, la mia
nuova sorella!», urlò il ragazzo euforico, facendo scatenare tutti i presenti
che si misero a ridere e a fargli i complimenti per l’accoglienza che mi aveva
appena riservato.
Erano tutti su di giri per il fatto di
aver appena visto uno di loro baciare in quel modo una ragazza che doveva essere
la sorella. A quanto pareva quel gesto incestuoso, invece di sconvolgere e
suscitare disprezzo, aveva appena alzato di cento punti l’indice di popolarità
e l’ego di…
Come
si chiama?
«Easton, non perdi mai un colpo, eh?»,
esclamò un ragazzo biondo, battendo cinque con il tipo che mi aveva appena
baciata e che ora era tornato a tuffarsi in piscina.
Easton.
Furiosa, tornai con lo sguardo sul mio
fratellastro acquisito da neanche un minuto.
Il sorriso insolente e arrogante che mi
rivolse mi rimase impresso indelebile nella mente.
Non avrei mai dimenticato quella sua espressione
trionfante e presuntuosa.
Una parte di me avrebbe voluto
schiaffeggiarlo e affogarlo nella piscina, ma ero troppo brava a sopportare e a
non andare mai in escandescenza. Inoltre ero stremata per quelle ore di viaggio
e mi sentivo sola senza la mia famiglia e la mia casa.
Provata e distrutta da ciò che avevo
appena subito, presi il mio trolley e mi avviai verso l’uscita, senza nemmeno
degnare di uno sguardo Easton e i suoi amici che iniziarono a deridermi per
quella fuga.
Mi veniva da piangere e dentro di me
sentivo crescere la paura di aver commesso un terribile sbaglio ad aver
accettato quella proposta di andare in Oregon.
Ero già fuori dalla porta e pronta a
chiamare un taxi, quando vidi arrivare mia madre con una macchina nuova. E che
macchina! Una Maserati di ultima generazione che si scontrava brutalmente con
quel catorcio che mio padre usava per andare al lavoro, quando riusciva a farlo
partire.
«Alice, scusami se non sono venuta a
prenderti alla stazione dei pullman», si scusò subito lei, abbracciandomi
forte.
Non contraccambiai e lei comprese subito
che non ero dell’umore giusto per perdonarla.
«Sei già entrata?», mi domandò.
«Sì. Ho conosciuto Easton, il tuo figliastro»,
le dissi con voce irritata, pronta a svelarle l’accoglienza umiliante e oscena
a cui mi aveva costretta, ma arrivò proprio il ragazzo in questione a
interrompermi.
«Easton, un’altra festa? Non ti ricordi
cosa ti ha detto tuo padre l’ultima volta?», cercò di rimproverarlo mia madre
con un tono così accondiscendente e docile da farmi venire voglia di spaccare
qualcosa.
«L’ho organizzata per festeggiare l’arrivo
di tua figlia. Spero abbia apprezzato», le rispose, inviandomi un’occhiata
provocatoria che mi fece saltare i nervi.
«No, non ho apprezzato per niente!»,
ribattei senza lasciarmi intimorire. «Odio le feste e odio i ragazzi arroganti
e pieni di sé che si credono degli dei scesi in Terra, liberi di fare qualsiasi
cosa e che non si fanno scrupoli a mettere a disagio gli altri.»
«Ehi, ehi, ragazzi!», si allarmò mia madre
preoccupata. «È ovvio che siete partiti con il piede sbagliato, ma vi ricordo
che da oggi in poi saremo una famiglia. Voglio che andiate d’accordo, intesi?
Io e Mitchell ci teniamo tanto che i nostri figli abbiano un rapporto pacifico
e amichevole. Abbiamo anche insistito con il rettore dell’università per farvi
stare nello stesso dormitorio misto, in modo che possiate sempre avere l’altro
vicino.»
«Fantastico», sibilai acida.
«Alice, capisco che non sia stato facile
per te accettare questo trasferimento, ma vorrei che mettessi da parte i tuoi
problemi e cercassi di andare d’accordo con Easton. Lui è nato e cresciuto qui.
Conosce tutti e ha molti amici. Sono sicura che saprà come farti sentire a casa»,
lo difese.
Ero pronta a scatenare una scenata. Mia
madre era appena arrivata, non sapeva perché ero arrabbiata ma aveva già deciso
che la colpa era mia e non di Easton. Avrei voluto urlarle in faccia tutto il
mio disprezzo e il mio rancore, ma non potevo dimenticare che ero stata io ad
accettare di vivere in Oregon e frequentare l’università pagata dal suo nuovo
fidanzato.
Quello era lo scotto da pagare per la
scelta che avevo fatto.
EASTON
Come potevo godermi la soddisfazione di
aver appena umiliato e messo in crisi quella che mio padre voleva che
considerassi la mia nuova sorellina acquisita, quando quest’ultima continuava a
inviarmi occhiatacce e non sembrava voler cedere di fronte alla mia posizione
privilegiata?
Dal primo momento in cui l’avevo vista,
ero rimasto ipnotizzato dal suo atteggiamento fiero e distaccato, nonostante la
stanchezza che le avevo letto in volto.
Mi aveva mandato in bestia quella sua
aurea intoccabile e inviolabile che emanava, a tal punto da arrivare a
sconvolgerla e a baciarla in maniera plateale, davanti a tutti, per poi
lasciarla da sola, esposta al pubblico ludibrio.
La festa era la mia arena e io ero il
gladiatore. Non avrei mai permesso a nessuna ragazza di entrare nel mio
territorio senza pagarne le conseguenze.
Ero sicuro che il mio messaggio fosse
stato recepito, ma quegli occhi verdi non mi comunicavano nessun tipo di
sottomissione e i suoi capelli ramati sembravano fiamme roventi pronte a
bruciare chiunque si avvicinasse. Sarebbe stata molto seducente e provocante,
se non fosse stato per quelle lentiggini dispettose che le macchiavano il viso,
in particolare il naso e gli zigomi, e per il suo aspetto minuto che la faceva
sembrare una bambolina.
«Easton, perché non mostri la camera che
abbiamo preparato per Alice, mentre io cerco i domestici e pongo fine a questa
festa prima che arrivi tuo padre?», mi chiese gentilmente Helena, la madre di
Alice.
In genere me ne sarei andato senza nemmeno
una spiegazione, ma Helena era sempre stata cortese con me e spesso mi aveva
giustificato con mio padre, quindi annuii e mi feci da parte per far passare la
nuova ospite. Proprio come un gentleman.
Peccato che la stronza mi oltrepassò così
vicina che mi passò con il trolley sui piedi scalzi.
Avrei scommesso che l’avesse fatto apposta
e il suo sorriso sotto i baffi era la prova evidente che aveva goduto della sua
piccola e stupida vendetta.
Di nuovo quel suo atteggiamento fiero e
altezzoso!
Mio Dio, quanto la odiavo!
Avrei dovuto buttarla in piscina invece di
bagnarle solo i vestiti nei punti in cui il mio corpo umido aveva toccato il
suo.
Giurai a me stesso che avrei fatto
qualsiasi cosa per renderle la vita un inferno. Almeno finché non fossimo
partiti per l’università dopo due giorni.
Poi avrei fatto in modo di farla sparire
dal mio radar. La sua sola presenza aveva il potere di farmi perdere le staffe.
Ricacciai il dolore al piede e seguii la
ragazza, indicandole le scale per andare al piano di sopra.
La sua camera era in fondo al corridoio,
poco distante dalla mia.
Senza dire una parola, aprii la porta.
«Benvenuta all’inferno!», esclamai con
l’intento di intimorirla, scansandomi quando mi oltrepassò con la sua valigia
per entrare.
«L’inferno è il mio habitat naturale. Tu,
piuttosto, attento a non rimanere scottato», ribatté impudente, lanciandomi
l’ennesima sfida.
«Attenta a come parli», la minacciai.
«La stessa cosa vale per te.»
Irritato dal suo atteggiamento testardo di
chi voleva avere sempre l’ultima parola, sbattei la porta e me ne andai.
Stavo per tornare in piscina, quando
Helena mi fermò nuovamente.
«Tra un’ora arriva tuo padre. Per questa
volta ceniamo in anticipo. Puoi avvisare Alice?»
«Non puoi farlo tu? È tua figlia, non
mia», sbottai nervoso. Non ero il servo di nessuno.
«Sono al telefono», mi disse, facendomi
notare il cellulare acceso vicino all’orecchio.
Arreso e stanco da tutto quel casino che
si stava creando per l’arrivo prima di Alice e ora di mio padre, salutai
velocemente i miei amici e tornai di sopra.
Stavo per bussare, ma alla fine decisi di
aprire la porta senza farmi notare.
«Spero di restare in questa casa il meno
possibile. Non mi sento la benvenuta e la mamma… Lei ormai non fa più parte
della mia vita. Preferisce quella nuova a me», sussurrò turbata e spaventata,
gesticolando con mani tremanti. «Papà, lo so… ma non voglio stare qui. Mi
manchi.»
Il padre le disse qualcosa e lei scoppiò
in una debole e rauca risata. Sembrava sul punto di mettersi a piangere, ma
alla fine si tirò su. «Hai ragione, andrà tutto bene. Devo solo abituarmi e
prendere le distanze da chi mi ha riservato l’accoglienza peggiore della mia
vita. Se ci ripenso, mi tremano ancora le gambe.»
E
così la fiera e imperturbabile ragazza non è poi così fredda e insensibile come
sembra!
Respirai a fondo, assaporando quel potere
che sentivo già di avere su di lei.
Distruggerla sarebbe stato più facile del
previsto.
In silenzio richiusi la porta e tornai di
sotto.
Chi
se ne frega se nessuno l’avvisa della cena anticipata!
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