Titolo: TI HO PRESA
Autore: Victory Storm
Editore: self publishing
Genere: mafia romance
Prezzo: 0,99€ (ebook)
Uscita: 12 gennaio 2020
Disponibile in ebook e cartaceo
Potrà
mai sopravvivere un amore che sfida la legge di due famiglie separate da un
antico rancore?
Ginevra
Rinaldi non ha mai saputo cosa fosse la libertà.
Vissuta
dentro una gabbia dorata, soffocante e piena di regole dettate da suo padre, è
abituata ad ubbidire e a subire la punizione della sua famiglia per ogni
ribellione.
Lorenzo
Orlando ha rinunciato al suo posto come erede del patrimonio della famiglia
Orlando pur di avere la libertà di essere e fare ciò che vuole, anche a rischio
della vita. Tuttavia, oggi è un uomo rispettato ed è il proprietario del più
prestigioso locale di Rockart City, il Bridge.
Decisa
a rompere gli schemi e a infrangere le regole, Ginevra finirà nella tana del
lupo.
Cosa
succederà quando rimarrà rapita dallo sguardo penetrante di Lorenzo e scoprirà
che non potrà più sfuggirgli? Quanto tempo avrà Ginevra prima di finire nel
mirino di Lorenzo?
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CAPITOLO 1
Ginevra
«Non lo so, Maya. Forse è meglio se lasciamo perdere», sussurrai, cercando di calmare l’ansia
che mi stava assalendo.
«Ginevra, dai, lasciati andare per una volta! Non sei stanca
di dover sempre sottostare alle regole della tua famiglia? Non dirmi che una
parte di te non desidera altro che uscire dal seminato e divertirsi come fanno
tutte le ragazze della nostra età!», sbottò la mia amica sbuffando.
Certo che lo volevo! Ma non era così facile per chi aveva il
sangue italiano dei Rinaldi nelle vene.
Essere la figlia di un boss della mafia significava avere una
vita prestabilita, sigillata dentro un agglomerato di regole e di limitazioni dettate
da un padre padrone.
Anche se ero la figlia più piccola, questo non mi rendeva più
libera e ogni errore o trasgressione veniva sempre punito con severità. Per
questo avevo imparato molto presto a rispettare il volere della mia famiglia.
Mi ero sempre comportata in modo impeccabile, ma negli ultimi
anni, da quando avevo iniziato l’università, avevo cominciato a soffrire per quella
rigidità tipica di mio padre e quella mania di perfezione di mia madre.
Mi sentivo cambiata da quando ero entrata in contatto con una
realtà così vasta come l’università, con i suoi studenti che non venivano
selezionati e valutati come accadeva nella scuola cattolica femminile in cui
avevo studiato fino ad allora.
Avevo imparato che esistevano diversi stili di vita e che,
senza la presenza di mio padre nel consiglio d’istituto, a nessuno importava
che io fossi una Rinaldi.
Per la prima volta in vita mia mi ero concessa di essere me
stessa e di abbracciare nuovi ideali che mio padre abborriva.
Negli ultimi due anni ero diventata la pecora nera della
famiglia, colei da evitare o da trattare come una povera disadattata, ma la
verità era che non mi ero mai sentita così viva prima d’ora.
Avevo spezzato lentamente le piccole catene che mi ancoravano
alla famiglia, ma ero ancora molto lontana dalla libertà e dal fare ciò che
volevo, come prendere una decisione netta riguardo al mio futuro sentimentale o
professionale.
Fino a quel momento mi ero limitata a guardare Maya, la
figlia del contabile del patrimonio dei Rinaldi e mia unica amica, mentre
trasgrediva le regole della sua famiglia, che seguiva pedissequamente le leggi
di mio padre.
Avevo invidiato Maya ogni volta che mi telefonava,
chiedendomi di coprirla con i suoi quando voleva incontrarsi con i suoi amici
non graditi ai genitori oppure frequentava un ragazzo.
Avevo sempre ammirato la sua spavalderia con cui sfidava il
volere della sua famiglia.
Molte volte avevo desiderato essere come lei, ma il peso del
mio cognome mi aveva sempre bloccata.
Tuttavia Maya aveva ragione: non potevo continuare così.
Avevo appena concluso il mio ultimo anno di università e ancora non avevo
provato l’ebbrezza di una scappatella, di un incontro segreto con un ragazzo o
di una piccola follia come una serata in giro con persone che non conoscevo.
«Ok, facciamolo!», esclamai entusiasta, ma con la voce ancora
carica di apprensione.
«Vedrai che andrà tutto bene. L’ho fatto centinaia di volte e
ti posso assicurare che non ho mai avuto problemi», mi rassicurò Maya.
«Ho solo paura che qualcuno mi riconosca o che mio padre
venga a scoprirlo.»
«Ho preso tutte le precauzioni del caso. Guarda qui», mi
disse, porgendomi una parrucca bionda ondulata.
«Stai scherzando, vero?», compresi allibita.
«Tesoro, sei la figlia del proprietario di metà Rockart City.
Non puoi pensare di andare in giro senza attirare l’attenzione.»
«Nessuno sa più chi sono. Sono due anni che mio padre non mi
include più nelle sue interviste e non mi invita nemmeno alle sue cerimonie di
inaugurazione. Ormai la gente pensa che lui abbia due figli. Non tre. Le mie
comparse al suo fianco sono ridotte all’osso da quando sono diventata
vegetariana e ho iniziato a parlare di diritti civili.»
«Non ti ha ancora perdonato per essere vegetariana?»,
ridacchiò Maya.
«No, quando mangio con lui, mi fa sempre mettere nel piatto
una bistecca, che io scarto ogni volta facendolo andare su tutte le furie.
Ormai mangio quasi sempre da sola nella dependance dove mi hanno relegata»,
raccontai mogia. Era pesante non sentirsi mai accettata dalla propria famiglia.
«Che figata! Lì sei sola e puoi fare quello che vuoi!»
«Magari! Ricordati che a casa mia ci sono telecamere
dappertutto e la vigilanza è sempre presente. Non esiste la privacy e mi chiedo
spesso se riuscirò mai a separarmi dalla mia famiglia e a vivere la mia vita.
Vorrei trovare un lavoro, sposarmi con un uomo che amo…»
«Finché rimarrai a Rockart City, sarà impossibile. A est del
fiume Safe River non si muove una
foglia senza che tuo padre lo permetta… L’unica tua speranza è di andare molto
lontano da qui, in un posto dove tuo padre non può arrivare, perché sai
benissimo anche tu che lui non ti lascerà mai fare ciò che vuoi. Farà di tutto
per impedirti di lavorare, per fare in modo che tu non possa mantenerti e
recidere quel cordone ombelicale con cui ti incatena ancora a ventitré anni!»
«E di sicuro non mi permetterebbe di sposare chi desidero
io.»
«Scordatelo! Ginevra, ti basti pensare a tutte le relazioni
amorose che hai avuto finora.»
«Ne ho avuta solo una. Durata tre giorni, al mio ultimo anno
di scuola superiore.»
«Daniel Spencer, giusto?»
«Sì. Sono riuscita a malapena a dargli il mio primo bacio,
prima di sapere che lui e tutta la sua famiglia erano stati esiliati per sempre
da Rockart City.»
«Tutto per un bacio… Pensa se ci fossi andata a letto.»
«Sarei finita nelle segrete del castello come i prigionieri
di guerra», risi debolmente, anche se in realtà avevo sempre pensato che avrei
fatto quella fine sul serio. Ancora non avevo dimenticato la sfuriata e lo
schiaffo di mio padre quando aveva scoperto che mi ero presa una cotta per il
figlio di David Spencer, l’uomo che gli aveva fatto sfumare un affare due anni
prima.
Edoardo Rinaldi era un uomo che portava rancore a vita.
«Beh, ti posso garantire che questa volta non ti succederà
nulla e tuo padre non verrà mai a saperlo», mi rincuorò Maya, infilandomi la
parrucca bionda sopra i miei capelli castani, che mi arrivavano alle spalle.
Mi guardai allo specchio.
Mi veniva da ridere perché ero irriconoscibile con tutto
quell’eyeliner nero e quei capelli lunghi fino alla vita. Inoltre, l’abito che
mi aveva fatto indossare Maya era l’opposto del mio look classico bon ton.
Quel vestito rosso senza spalline e quella giacca di pelle
nera con le maniche a tre quarti mi donavano un’aurea da donna cosmopolita,
intraprendente e trasgressiva. Tutto ciò che non ero.
«Possibile che tuo padre non ti dica niente di fronte a tutti
questi acquisti?», esclamai sorpresa.
«Mio padre non è guardingo come il tuo, ma mi controlla ogni
spesa fatta con la carta di credito e mia madre s’infila nella mia cabina
armadio una volta al mese, se mio padre si lamenta dell’estratto conto.»
«Tua madre è uguale alla mia. Come fai a non farti
rimproverare per questo genere di acquisti?»
«Mia madre non sa nulla di questa mia seconda vita. Ho un
accordo con la commessa del negozio. Lei mi lascia provare questi vestiti a
casa per un giorno e io glieli riporto intatti il pomeriggio seguente, quando vado
a scambiarli con qualcosa di più consono ai gusti di mia madre», mi rivelò,
mostrandomi il cartellino ancora attaccato all’abito, prima di nasconderlo
dentro la scollatura, sotto l’ascella destra.
«Sei geniale!»
«Lo so, ma ricordati di trattare questo vestito con cura
perché domani devo riportarlo al negozio e deve essere in condizioni perfette.»
«Promesso!»
«Bene, allora usciamo. La domestica mi ha lasciato le chiavi
della macchina che usa per fare la spesa e, così conciate, nessuno ci
riconoscerà quando ci avvieremo verso l’uscita. Nemmeno la guardia del corpo
che ti ha portata fin qua e che ti controlla dal parcheggio fuori dal
cancello.»
«Lo spero tanto, altrimenti sono morta.»
«Per precauzione, lasceremo i cellulari qui, in modo che il
segnale GPS del telefono non ci faccia sgamare; inoltre, in borsa ci porteremo
soltanto contanti e il documento falso che ti ho procurato. Ricordati che per
stasera io non sarò Maya Gerber ma Chelsea Faye e tu non sarai Ginevra Rinaldi
ma Mia Madison di Los Angeles.»
«Hai pensato proprio a tutto, eh?»
«Ginevra, dopo cinque anni di fughe segrete, potrei evadere
anche da una prigione», ridacchiò Maya smorzando la tensione.
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