Ginevra
Avevo il cuore che mi batteva come un pazzo.
Era la prima volta che facevo qualcosa di folle ed ero
terrorizzata a morte.
Silenziosamente, nonostante i tacchi alti, seguii Maya.
Ormai erano andati tutti a dormire e la casa era deserta.
Uscimmo dalla porta sul retro e ci avviammo alla macchina
parcheggiata proprio davanti, come aveva ordinato la mia amica.
Entrammo in una vecchia Toyota Corolla e in un attimo
partimmo.
Quando la macchina varcò il cancello, mi nascosi per non
farmi notare dall’auto parcheggiata all’uscita. Era quella che mi aveva portata
fin là e sapevo che non se ne sarebbe andata finché non mi avesse riportata a
casa.
Odiavo quel controllo continuo sulla mia vita, ma non avevo
idea di come fare per liberarmi da quella prigione senza sbarre.
Essere una Rinaldi sarebbe stata una croce che mi sarei
portata fino alla morte.
Solo quando ci avviammo verso la superstrada, iniziai a
rilassarmi, ma appena intravidi il Safe
River, sentii mancarmi il fiato. Era la prima volta che lo vedevo dal vivo.
In un attimo sentii la
paura strisciarmi sotto la pelle in tutto il corpo.
«Maya, dove stiamo andando?», mi agitai vedendo la mia amica
proseguire sul ponte che collegava la zona est di Rockart City a quella ad
ovest.
«Andiamo dove la tua famiglia non potrà mai trovarci.»
«Sei impazzita?! È proibito ai Rinaldi anche solo avvicinarsi
a questo fiume! Se un Orlando scopre la mia presenza nella loro parte di città,
mi ammazza!», gridai terrorizzata. Odiavo tutti i limiti e le regole che mi
imponeva mio padre, ma quella di non andare mai oltre il fiume era l’unica che
avevo sempre accettato di buon grado e che avevo promesso di non infrangere mai
se non volevo rischiare di morire prematuramente.
«Lo so benissimo. Per questo abbiamo dei documenti falsi.»
«Questo non mi tranquillizza, Maya.»
«Chelsea! Ricordati che qui sono Chelsea e tu sei Mia! Non
sbagliarti o siamo fottute!»
Proseguii il viaggio schiacciata contro il sedile, con il
battito del cuore che mi martellava nelle orecchie e incapace di godermi il
panorama di quella parte di città che non avevo mai visto.
«Andrà tutto bene, vedrai», continuava a ripetermi Maya, ma
io ormai ero pronta a scappare e tornare indietro, promettendo di non fare più
una cosa simile.
A malapena mi accorsi che Maya aveva spento la macchina
accanto ad un’altra parcheggiata di fianco e con due ragazzi di bell’aspetto
seduti davanti.
«Quello al volante è Lucky Molan. È lui quello per cui ho
perso la testa e di cui ti ho parlato tanto ultimamente. L’ho conosciuto su Lezioniprivate.com. È lui che mi dà
ripetizioni di economia online, di nascosto da mia madre che è convinta che io
sia un genio. Sono due anni che gli muoio dietro e solo adesso che mi sono laureata
ha accettato di uscire con me. Purtroppo, però, quando mi ha proposto un’uscita
a quattro con suo fratello che si è appena lasciato con la sua ragazza, non ho
saputo dire di no.»
«Per questo sono qua, giusto? Per tenere impegnato il povero
fratellino mentre tu te la spassi con l’amore della tua vita.»
«Io non la metterei in questi termini, però… Sì, è così. Ti
prego, Gin… Mia, è importante che tutto fili liscio, perché non intendo
accontentarmi di una serata a quattro.»
«C’è solo una cosa che non ho capito. Lui sa che sei Maya
Gerber?»
«Assolutamente no. Lo sai che ci tengo a non far mai
trapelare la mia vera identità. Non voglio che qualcuno scopra che prendo
lezioni private.»
«Quindi il vostro rapporto è basato su delle bugie. Come
pensi di poter costruire qualcosa di solido e duraturo in questo modo?»
«Per ora penso a divertirmi, ok? Voglio uscire con Lucky e
magari andarci a letto. Non ho mica detto che voglio sposarmelo!»
«Lucky abita a ovest del fiume, quindi è off- limits per me.
Anche se non sono una Rinaldi, papà non vuole che frequenti questa parte della
città.»
«Considerando le cose che tuo padre sa della mia famiglia e
ciò che gestisce per lei, credo che tu sia in pericolo tanto quanto me qui.»
«Può darsi, ma non m’importa! Sono troppo giovane per pensare
a queste cose.»
«O troppo stupida», soffiai debolmente guadagnandomi una
smorfia da parte sua.
Silenziosamente, come se avessi paura di farmi sentire da
chissà chi, scesi dalla macchina e mi avvicinai con Maya ai due ragazzi.
Erano entrambi biondi con gli occhi azzurri.
Dall’abbraccio che la mia amica si scambiò con quello più
alto e magro, compresi che doveva essere Lucky.
«Piacere, sono Mike», mi si avvicinò l’altro ragazzo dall’aria
depressa e alto pochi centimetri più di me.
«Mia», mi presentai cercando di soffocare un gemito per la
paura di lasciarmi sfuggire il mio vero nome.
Quanto avrei voluto essere sciolta e disinvolta come Maya!
«Ho prenotato al Bridge.
Sappiate che ho dovuto chiedere un favore a un amico per avere un pass per quel
locale. È un posto così esclusivo da essere inavvicinabile per noi comuni
mortali», ridacchiò Lucky, indicandoci un palazzo a pochi metri di distanza.
«Ecco, io pensavo di andare al Lux… Ci sono già stata molte volte e mi trovo bene», intervenne
Maya facendomi preoccupare con la sfumatura ansiosa che percepii nella sua
voce. Non era da lei spaventarsi e io sentii la paura tornare a livelli
allarmanti.
«Maya, non ci ricapiterà più di entrare in quel posto e il
pass vale solo per stasera, dandoci la possibilità di ascoltare la famosa
pianista Folkner», la bloccò Lucky.
Guardai Maya e lessi una forte indecisione nei suoi occhi
scuri, finché non la vidi annuire debolmente.
«Andrà tutto bene», mi sussurrò all’orecchio, prendendomi per
una mano con troppa forza per non spaventarmi.
Non seppi dove trovai il coraggio, ma vidi i miei piedi
avanzare uno davanti all’altro, verso quella che sembrava essere una tana di
serpenti.
Solo quando fui a un passo dall’entrata e lessi l’insegna mi
sentii mancare la terra sotto i piedi per l’ennesima volta quella sera: “The Bridge. Orlando’s Night”.
Come se mi avesse letto nel pensiero, Mike mi spiegò che
quello era il locale della potente famiglia italiana Orlando, i primi ad
arrivare a Rockart City (anche se qualcuno sosteneva che erano i Rinaldi a
insediarsi per primi) e che avevano trasformato quella vallata desolata in una
calamita per i nuovi immigrati, dando vita a quella che oggi era riconosciuta
come una delle città più fiorenti e storiche degli Stati Uniti d’America.
Quel locale era la prima attività commerciale ed era stata il
cuore di Rockart City a ovest del fiume.
«Dopo la morte del grande Giacomo Orlando, la gestione del
locale è passata al nipote Lorenzo, la pecora nera della famiglia. Ha litigato
con tutti e ha rinunciato a prendere il posto del padre Salvatore. Si è salvato
dall’ira degli Orlando solo perché è il primogenito, figlio unico ed era il
pupillo del nonno, che in punto di morte gli ha chiesto di non abbandonare la
città e di portare avanti il locale di famiglia, la pietra miliare della
famiglia Orlando. Per amore del nonno, Lorenzo ha accettato e ha reso questo
posto il locale più esclusivo e prestigioso di tutta Rockart City», mi raccontò
Mike, mentre ci avviavamo al Bridge.
«Dev’essere un tipo in gamba.»
«Sì e ha solo ventinove anni, ma non ti aspettare un
cavaliere dall’armatura scintillante. È uno squalo come tutti gli Orlando e non
perdona il minimo sgarro. Un passo falso con lui e rischi di fare una brutta
fine. So che l’anno scorso due tizi hanno scatenato una rissa ed è dovuta
intervenire la polizia. Beh, da quel giorno, tutti si chiedono che fine abbiano
fatto quei due idioti. Stessa cosa per il pusher che ha pensato di mettersi a
spacciare nel suo locale. Se la famiglia Orlando governa ogni singola persona e
movimento a Rockart City Ovest, nel Bridge
esiste solo la legge di Lorenzo. Tutto ciò che ruota intorno a quell’uomo è
blindato e inaccessibile, se lui non lo permette. La città era convinta che,
rinunciando all’eredità della famiglia, lui avrebbe perso ogni potere, invece
Lorenzo ha dimostrato di sapersela cavare da solo. Oggi ha un potere che
equivale a quello della sua famiglia e la cosa pazzesca è che se l’è costruito
da solo.»
«Beh, il cognome che porta l’avrà aiutato.»
«Forse adesso sì, ma non quando ha tagliato i ponti con la
sua famiglia. Metà parentela voleva la sua testa quando ha mandato tutti al
diavolo. Sicuramente il nonno, che era a capo degli Orlando, avrà impedito che
venisse ammazzato, ma poi è morto e Lorenzo è rimasto completamente solo.»
«Che coraggio deve possedere per sfidare così apertamente la
sua famiglia», esclamai con una punta di invidia. Quanto avrei voluto essere
come lui o avere un nonno che mi sostenesse, ma i miei erano tutti morti o erano
ritornati in Italia.
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