martedì 7 gennaio 2020

Capitolo 5 di "Ti ho presa"


Ginevra


Avevo pensato a Lorenzo Orlando per tutta la settimana.
Avevo letto libri, visitato gallerie d’arte, partecipato a una riunione sui diritti civili, ma era come se tutto fosse insignificante e privo di emozioni.
Solo quando ripensavo a Lorenzo, a ciò che gli avevo detto, mi sentivo di nuovo viva ed elettrizzata.
Era incredibile!
Ero stata tentata di chiedere a Maya di riportarmi oltre il fiume, ma non avevo osato fare una simile proposta apertamente.
Dentro di me avevo ancora la consapevolezza di quanto fosse sbagliato ciò che avevo fatto e del pericolo che avevo corso. Eppure era stato proprio quello a tenermi viva in quei giorni.
Mi bastava chiudere gli occhi per risentire la voce calda, profonda, lievemente arrochita di Lorenzo.
Per non parlare dei suoi capelli castani disordinati che facevano venire voglia di passarci le dita in mezzo.
O la sua barba lievemente incolta.
Non avevo mai toccato un uomo. Nemmeno mio padre o mio fratello.
Una parte di me avrebbe voluto accarezzargli il viso per sentire cosa si provava a sfiorare quella peluria ruvida e non rasata di fresco.
Oh Dio, toccarlo…
Mi si spezzava il respiro ogni volta che ci pensavo.
L’idea mi eccitava e mi atterriva contemporaneamente.
Toccare un Orlando era proibito!
Ancora mi sembrava di sentire il calore della sua mano sul mio braccio.
Eppure avrei pagato per provare di nuovo quella sensazione.
E i suoi occhi…
Oh Dio, Ginevra, calmati!
«Ginevra, vuoi tagliarti? Si può sapere a cosa stai pensando?», sbottò Maya scalciandomi fuori dai miei pensieri.
«A niente», mi affrettai a dire continuando ad affettare le cipolle.
«Non ti credo.»
«Stavo pensando a cosa prepararti. Spero che la pasta al ragù di seitan ti piaccia», risposi prontamente, mettendo a soffriggere la cipolla insieme al sedano e alle carote.
«Lo scoprirò presto, ma confido in te. Sei un’ottima cuoca, anche se trovo vergognoso che i tuoi genitori non ti diano una domestica o un aiuto per fare questi lavori.»
«Mio padre è stato chiaro: finché non la smetterò con la mia dieta vegetariana e con questa fissa per i diritti civili, rimarrò segregata in questa dependance e dovrò arrangiarmi da sola. Ormai sono diventata una casalinga esperta.»
«Passi anche l’aspirapolvere?», mi domandò Maya disgustata.
«Sì. Cucino, lavo, stiro e mi rifaccio il letto da sola.»
«Cavolo! Io non potrei mai! Ti trattano come una schiava!»
«Non dire assurdità. Sono diventata indipendente e non faccio nulla che la maggior parte delle persone non faccia tutti i giorni. Non tutti possono permettersi dei dipendenti che ti sostituiscano in tutto, sai?»
«E a te sta bene così?»
«Sì», mormorai mogia. In realtà non m’interessava dover pulire la casa o cucinare per me. Ciò che mi faceva stare male era che la mia famiglia non mi volesse più, non accettasse la mia diversità e non mostrasse un minimo interesse nei miei confronti.
Quelle poche volte che stavo con la mia famiglia era sempre una sofferenza, perché mi parlavano sopra, non mi lasciavano intavolare un discorso e peggio ancora, si rifiutavano di chiedere allo chef di preparare del cibo a parte per me.
Mi sentivo spesso sola e ormai erano quasi tre anni che venivo esclusa e trattata senza rispetto.
Anche quel mio trasferimento in quella dependance era l’ennesimo tentativo di isolarmi per evitare che facessi parte della loro vita familiare.
Pure mia sorella Rosa mi evitava e, da quando si era sposata, aveva anche smesso di telefonarmi.
Con mio fratello Fernando non avevo mai avuto un bel rapporto e non avevo mai patito la distanza che aveva messo tra noi due. Per il fatto che fosse il primogenito, avesse dieci anni più di me e fosse il diretto erede dell’impero di papà, si permetteva di fare il despota con chiunque.
«Ascolta, mi ha telefonato Lucky. Ha il tuo pass. A quanto pare ha provato ad andare al Bridge con i suoi amici, ma gli hanno detto che la tessera è nominativa e che senza di te non poteva entrare. Mi ha chiesto se stasera ci andrebbe di ritornarci con lui e un suo amico che vorrebbe presentarti. Mi ha fatto vedere una sua foto. È un bel ragazzo! Magari potrebbe nascere qualcosa, non credi?»
Ripensai a Lorenzo.
Non l’avrei mai ammesso, ma avevo una voglia matta di rivederlo.
«Ok», risposi lasciando basita Maya.
«Sul serio? Cioè, mi fa piacere, ma ero convinta che non volessi più saperne del Bridge e degli Orlando dopo quello che è successo sabato scorso.»
«Ho bisogno di cambiare aria.»
«Una volta, quando volevi cambiare aria mi chiedevi di andare al cottage di mio nonno in montagna. Mentre ora mi stai dicendo che vuoi tornare nella tana del lupo. Mi sa che ti ho contagiata con la mia follia di fare cose proibite.»
«Può darsi», sorrisi allegra.

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